La retrospettiva dedicata a Vermeer (ne avevamo parlato, per altri motivi, in una precedente newsletter che potete recuperare qui) in corso al Rijksmuseum rivela che molto probabilmente, il suo più grande collezionista fosse una donna: Maria de Knuijt, la moglie di Pieter van Ruijven, che per secoli è stato considerato il primo mecenate di Vermeer.
In realtà, dalle recenti ricerche, sembra prendere sempre più rilevanza la teoria che vede la ricca moglie di van Ruijven come la vera promotrice del pittore olandese. Inoltre, sembra che la benefattrice abbia avuto un luogo attivo nel “condizionare” le scelte pittoriche dell’artista, spostando il perno espressivo dai soggetti religiose alle scene di interni.
La scoperta di questa collezionista femminile, un po’ per l’ossessione per Vermeer, un po’ per il suo essere una figura così atipica alla fine del XVII secolo, mi ha fatto pensare alla prima volta che, vista un’opera, ho pensato “io questa la voglio”, non accontentandomi più di goderla in uno spazio pubblico.
Quel momento me lo ricordo come ieri: era il 2017, ero a Palazzo Reale alla mostra di Keith Haring. Avevo comprato i biglietti della mostra con poca aspettativa e molta curiosità, più che altro perché avevo dei dubbi che si potesse fare una mostra che aggiungesse qualcosa su un artista su cui era stato detto e fatto di tutto.
Quando ad un certo punto, in una delle ultime sale, vedo questa:
Non so se mi avesse colpito la storia dietro l’opera - realizzata nell’estate precedente alla morte, e lasciata appositamente non finita -, non so se ci fosse qualcosa in questo non terminato e non risolto che avesse toccato qualcosa di più personale, ma mi ricordo di essere rimasta per 15 minuti a guardarla.
Mi ricordo che nella lucidità di pensiero “forse di quest’opera posso comprare al massimo il pluriball per l’imballo” - c’era comunque una parte di me che pensava - e lo pensa ancora - che quell’opera avrebbe dovuto essere mia, e non di qualcun’altro.
Non ho provato molte altre volte quella sensazione, ma una conversazione recente con un amico mi ha fatto ripensare a quel momento, e soprattutto, a quel desiderio di possesso:
Quella sensazione è inevitabile. Se ami qualcosa, prima o poi ti verrà voglia di possederne un pezzo, anche di piccolo o simbolico.
Siamo animali votati al possesso, ma a differenza degli altri animali, abbiamo il lusso di poter avere emozioni quali desiderio e possesso non per spirito di sopravvivenza, ma per banale egoismo.
Ecco, il suo giudizio è abbastanza tranchant, ma mi ha fatto venire la domanda: quando si diventa collezionisti? Perché lo si diventa?
Di primo acchito, quando pensiamo ad un collezionista d’arte pensiamo ad una persona facoltosa, che dedica uno spazio apposito della propria casa o addirittura un edificio ex novo alla sua magnifica ossessione. Il personaggio di Virgil Oldman nel film di Sorrentino La migliore offerta ha consolidato quel tipo di topos.
Ma il collezionismo nasce ben prima: si pensi alle Wunderkammern, stanze della meraviglie dove i signori dal Rinascimento al XIX secolo radunavano quelle che per noi oggi sono raccolte stravaganti, ma che in realtà seguivano dei criteri esoterici allora ampiamente assorbiti e seguiti, ma con spunti e deviazioni che non rientravano nel disegno stabilito.
Ma il collezionismo non è appannaggio degli eccentrici e dei ricchi, provate a pensare quanti dei vostri amici e conoscenti collezionano una determinata categoria di oggetti: io ho amici che collezionano biglietti del cinema, altri che collezionano capi di un determinato colore, chi fotografie di un determinata formazione naturale, e così via. Queste raccolte sono accomunate tutte da un particolare in comune: per il collezionista il valore in sé del singolo oggetto, se non rarissimi casi, non è importante, quanto il loro significato aggregato- “tutti assieme questi biglietti raccontano l’evoluzione del mio gusto in fatto di cinema” - o l’effetto di stupore, di meraviglia, suscitato dal mettere assieme oggetti che, singolarmente, nessuno considererebbe.
Questo li avvicina molto alle Wunderkammer, con il loro obiettivo di meravigliare e far conoscere al visitatore un altra versione di mondo; c’è una componente che attinge ad una tipologia di collezione tipicamente Illuminista, cioè il cabinet d’Amateur. Nasce per l’esigenza di catalogare e tassonomizzare, che darà poi il là al concetto di quadreria, che in ambito espositivo e museale è la parete di quadri diversi e collegati tra loro con rapporti ipertestuali che possono andare al di là della tecnica e del periodo.
Quindi, l’atto di collezionare è un atto estetico, ma impone anche una scelta, in ciò che può far parte di questo mondo oppure no: facendo nuovamente riferimento alla mia amica che colleziona biglietti del cinema (Chiara, avanzi una birra), la sua scelta racconterà un mondo fatto di bei e brutti film, ma non di ristoranti o libri. È un modo di mostrare, di esporre, ma anche di dimostrare una determinata visione di mondo.
Quel particolare oggetto è anche l’appiglio ad un ricordo particolarmente felice, aggancia questi inconsci collezionisti a qualcosa che, per l’appunto, amano fortemente e di cui vogliono possedere un pezzetto simbolico.
Io non ho la costanza di nessuno dei miei amici nel collezionare qualcosa, ma chissà, magari un giorno avrò anche io il mio Unfinished. Nella prossima newsletter continueremo a parlare di collezionismo, con le storie di qualcuno di loro, ma dato che abbiamo capito che siamo più o meno tutti collezionisti, mi piacerebbe che mi raccontaste qualcosa delle vostre ossessioni.
📚 Cose belle da ascoltare, vedere e da leggere
Ne La migliore offerta Geoffrey Rush interpreta alla perfezione il ruolo del collezionista algido, un po’ str***o, che però alla fine fa tenerezza.
Aleph Contemporary, galleria londinese, a fine 2022 ha curato To the Point | Collecting Contemporary Art, podcast ricchissimo dove collezionisti, curatori, art advisor raccontano il loro rapporto con l’arte.
Se foste interessati ad un’infarinatura tecnica su cosa significhi essere collezionista, la Guggenheim ha pure proposto un corso, ora recuperabile in formato digitale.
Altro capitolo grandissimo, arte contemporanea e NFT. Il podcast The Geek Art Collector ne ha parlato: le puntate del podcast si fermano però a fine 2021, sarebbe interessante saperne di più anche ora.
Noi ci vediamo il 1 Aprile!